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2016/17 | Italia, Un Sogno (CitySound & Events) |
2013/14 | Manon Lescaut (Minnesota Opera) |
Lucrezia Borgia (DVD) | |
2012/13 | Manon Lescaut (Washington National Opera) |
Don Giovanni (Washington National Opera) | |
2011/12 | Lucrezia Borgia (San Francisco Opera) |
The Medium (Festival di Spoleto USA) | |
2010/11 | Don Giovanni (Florida Grand Opera) |
Don Giovanni (Dallas Opera) | |
2009 /10 | Carmen (Palm Beach Opera) |
Flora (Festival di Spoleto USA) | |
2008 /09 | Lucrezia Borgia (Washington National Opera) |
Fidelio (Palm Beach Opera) | |
2007/08 | Don Giovanni (Washington National Opera) |
Ariodante (Festival di Spoleto Italia) | |
2006/07 | Ercole su’l Termodonte (Festival di Spoleto Italia) |
Cyrano (Michigan Opera Theater) | |
2006/05 | Madama Butterfly (L’Opéra de Quebec) |
Democracy: An American Comedy (world premiere) (Washington National Opera) | |
2005/06 | Turandot (L’Opéra de Quebec) |
2004/05 | Manon Lescaut (Washington National Opera) |
2003/04 | Don Pasquale (Palm Beach Opera) |
Don Giovanni (Washington National Opera) |
‘Il regista e scenografo John Pascoe con maestria ha saputo mettere in piedi uno spettacolo coinvolgente che rivoluziona il linguaggio dell’Opera
’Il talento degli artisti scelti per interpretarlo, le scenografie e le proiezioni visive ricompongono il puzzle sfaccettato della nostra storia, per una riflessione profonda sull’attualità e gli eventi odierni.’
‘Grande successo. “Italia, un sogno”, il concerto lirico s’imbeve di teatro …
‘Italia, Un Sogno” ha raggiunto lo scopo di rinnovare la vecchia formula del concerto lirico rendendola attraente anche per il pubblico dei non esperti e delle nuove generazioni … Per esempio, il duca di Mantova del “Rigoletto” si trasformava in un decadente imperatore dell’ antica Roma …
‘Il settecento di Casanova, con un tocco di erotismo in laguna …
‘Imprevedibile! Nell’intento di rendere «un tributo alla tradizione dell’opera attraverso la storia d’Italia», ogni pezzo lirico veniva ambientato in luoghi e tempi imprevedibili, quasi riecheggiando alcuni vezzi dei registi d’oggi. …
‘L’impaginazione e la loro messa in scena erano davvero sorprendenti e non prive di forte suggestione …
‘il rischio di un’iconografia da cartolina veniva bilanciato dall’interessante composizione architettonica delle scene e dalle efficaci scelte del regista John Pascoe.’
‘Il tenore Vittorio Grigòlo ha entusiasmato l’altra sera la platea del teatro Fraschini di Pavia dove ha portato ‘Italia, un sogno‘, un omaggio alla tradizione dell’ opera italiana …
‘Tra coreografie innovative, costumi e un cast composto da 50 artisti, la serata è corsa velocemente. E il pubblico non se ne voleva andare!’
’Grigolo riscalda i cuori con il suo “sogno” italiano.’
‘Diciotto poderose ed eleganti scene, del “Italia, Un Sogno”, il nuovo spettacolo di Vittorio Grigolo che ha iniziato il suo tour italiano l’altra sera al Teatro Filarmonico di Verona, ha mostrato di avere tutte le carte in regola per fare breccia fra il pubblico e non solo in quello nazionale …
‘Vittorio Grigòlo ha il giusto fascino, il carisma naturale e il talento della recitazione. Quello che più conta è evidentemente il suo modo «italiano» di cantare, dal tono giovanile e brillante, con la spontaneità e l’innata eleganza che crea nell’ascoltatore l’impressione di sentire anche i brani più famosi come fosse la prima volta …
‘Il spettacolo ha finito fra autentiche ovazioni al termine, con ripetute chiamate della sala, unitamente al regista e scenografo inglese John Pascoe … ed al folto numero di mimi, ballerini e coristi che si sono prestati con molta diligenza e brio a ravvivare le 18 scene ponderose in programma.
‘“Italia, Un Sogno” è senz’altro un viaggio piacevole, elegante, di successo.’
‘Un evento pop che racconta la storia del’Italia attraverso le arie piu’ famose’
‘Quattordici arie d’opera interpretate da altrettanti cantati e attori coordinati sapientemente dal regista e scenografo inglese John Pascoe …
‘Il carisma, la vocalità e la presenza scenica di Grigòlo …
‘Un evento di rilevanza internazionale, assolutamente da non perdere.’
L’ultimo atto di Manon Lescaut (1893), il primo grande successo di Giacomo Puccini che ha inaugurato la nuova stagione della Minnesota Opera al teatro Ordway, e stato molto criticato. “Il più grande strafalcione teatrale di tutti i tempi” ha dichiarato un critico. “Un unico stato d’animo, un unico colore, niente spettacolo … nessun contrasto” si è lamentato un altro. La messa in scena tradizionalista della Minnesota Opera, un rimontaggio della produzione di John Pascoe per la Washington National Opera, dovrebbe però mettere a tacere gli scettici. Rivaluta il finale, collocandolo in un tetro paesaggio onirico – un deserto desolato della mente, cosparso di cimeli spezzati dal passato dei due amanti. E il tutto funziona.
Anche se potrei parlare a lungo del talento dei musicisti, è stato il lavoro del personale artistico che mi ha lasciato senza fiato. Il set, le luci, e i costumi erano stupendi. All’interno della storia, le diverse scene erano spesso di fortissimo contrasto, passando dalla bellissima casa di Geronte al deserto arido della Louisiana. La scenografia mantiene un tema comune, riflettendo però squisitamente ogni luogo diverso.
Un tocco mirabile è stato l’uso ingegnoso di specchi nella casa di Geronte come rappresentazione della vanità di Manon. Anche l’uso della proiezione è stato un aspetto notevole. Il testo è stato proiettato in pratica su un enorme pezzo di pergamena, consentendo alla trama di continuare senza interruzione durante i cambi di scena.
Visivamente, questa produzione era bellissima e coinvolgente, servendo da prosecuzione per la storia che viene raccontata sul palco.
Non perdetevi Manon Lescaut!
La regia di John Pascoe definisce finemente il melodramma. Le scenografie e i costumi della produzione di Pascoe continuano a fare colpo, in particolare su DVD ad alta definizione. Mura di pietra merlate gettano scure ombre da film noir sulla scalinata della piazza veneziana che serve quasi da passerella per una spassosa couture alla Satyricon di pelle nera, ori e argenti.
Il revival della produzione di John Pascoe di Manon Lescaut, passionale opera di Puccini, presentata dalla Washington National Opera ha avuto un emozionante prima questa sera al Kennedy Center. Patricia Racette ha trionfato nel suo debutto come Manon, la sfortunata eroina, in una produzione da non perdere.
Eppure non è stata solo la bravura dei cantanti che ha reso questa Manon Lescaut così potente e commovente. La visione innovativa di Manon del regista, scenografo e costumista John Pascoe prende vita con sfarzose scenografie e costumi riccamente dettagliati che esaltano e rafforzano le emozioni sul palcoscenico. La tragedia imminente viene tenuta viva nella nostra mente dalla sempre presente lama a ghigliottina che incombe sopra al palcoscenico, un tocco sorprendentemente efficace.
Il set pastorale, quasi impressionistico del primo atto è nettamente e sorprendentemente contrapposto con la severa e fredda sceda di palazzo del secondo atto. Allo stesso modo, il semplice costume da ragazza che Manon indossa all’inizio contrasta notevolmente con il splendido, quasi sgargiante abito da sera che indossa come cortigiana, e, benche Racette indossi bene entrambi, il pubblico non può fare a meno di rendersi conto di quanto non sia molto più elegante il primo abito. I costumi effeminati di Geronte in contrasto con i costumi semplici di des Grieux servono anche a sottolineare le grandi differenze tra i due personaggi.
La Washington National Opera è più che all’altezza del compito di portare Manon Lescaut in scena in modo pertinente, frizzante e bello.… Nel secondo atto, una massiccia colonna si apre come un immenso scrigno per rivelare la material girl per eccellenza fasciata in un abito sfavillante, raffinata come Jessica Chastain sulla passerella degli Oscar. Dietro di lei, un cielo barocco in un turbinio di nubi vorticose e putti angelici riempie lo sfondo del palcoscenico. Oh mamma, oh Manon!
Per mettere in luce la narrazione di quest’opera basata su romanzo osé, il regista John Pascoe incornicia ogni atto utilizzando un pavimento “libro” su cui vengono proiettati i punti chiave della trama del testo. Il “libro ” poi viene fatto a pezzi e scivola giù lungo entrambi i lati del palco, per trasformarsi in rocce sporgenti o mura della prigione presenti nella vita di Manon.
Il regista e scenografo Pascoe ha deliziosamente giocato con le quattro scenografie e i mondi di Manon, non trattandoli semplicemente come punti geografici, ma catturando lo stato d’animo di ogni atto, con una tavolozza distinta di colori e di toni che riflettono il paesaggio emotivo interiore del personaggio centrale. Le sue scelte diventano più audaci e hanno sempre più successo atto dopo atto.
La designer delle luci di scena Ruth Hutson ha lavorato superbamente con le idee di Pascoe, illuminando le scene con tale effetto da togliermi il fiato allo schiudersi di ogni nuovo capitolo della vita di Manon. Per il primo atto la luce verde-oro del mercato davanti alla locanda si è lentamente trasformata nel blu profondo della sera con un cielo stellata, via via che le fantasticherie fantasie di Manon si rivolgono all’amore.
Il II atto è caratterizzato da un sontuoso palazzo del 17° secolo, un luogo scintillante ma freddo. Per l’atto successivo, Hutson e Pascoe hanno ricavato la loro tavolozza per catturare una giornata di pioggia e il lerciume del porto di Le Havre dai pittori e dalla luce del nord europeo. Nel IV atto, il rosso dello sfondo evoca un incrocio tra un paesaggio wagneriano e una scena tratta da “Il falò delle vanità “. Si possono riconoscere tutti i piedistalli e tutte le colonne utilizzati nello spettacolo, ma ora giacciono spezzati su un fianco, il relitto di una civiltà implosa.
Il set, ideato dal regista John Pascoe, che ha disegnato anche i costumi della produzione, si adatta perfettamente all’ampio ventaglio di ambientazioni, da appartamenti opulenti e lussuosi a desolate lande deserte. I suoi elementi scenici mobili si trasformano magicamente, passando da una scena alla prossima senza perdita di realtà. L’uso di una pagina dagli scritti di Des Grieux che si strappa formando una cornice al susseguirsi dei capitoli del dramma è un’idea geniale per dare coerenza alla storia inframezzo a un turbinio di cambiamenti.
Allo stesso modo, i costumi, dall’abito blu verginale di Manon al suo sfolgorante abito da ballo, danno al pubblico degli indizi importanti su come sta cambiando interiormente.
Ho scritto spesso su quella che considero la messa in scena perspicace di opere difficili da parte di John Pascoe, pertanto non dovrebbe essere una sorpresa che questa sia stata per me una serata emozionante, che ha visualizzato brillantemente le virtù di questo, piuttosto sottovalutato, capolavoro. Raccomando senza alcuna riserva questa produzione e questo cast.
La brillantemente concepita produzione del 2004 di John Pascoe della Manon Lescaut di Puccini ritorna nove anni dopo con la Washington National Opera per il suo primo revival al Kennedy Center. John Pascoe segue la tradizione dei grandi scenografi del 20° secolo occupandosi della messa in scena, progettando le scene, disegnando i costumi e dirigendo gli artisti nelle opere che prende in esame.
Tre delle produzioni di Maggior successo di Pascoe sono associate alla Washington National Opera.
Egli ha dato un prezioso contributo alla reputazione di Lucrezia Borgia di Donizetti grazie a una geniale messa in scena di questo complicato capolavoro. Recentemente ho scritto una recensione sul suo Don Giovanni alla moda. Se il suo Mozart accenna alla sua ammirazione per gli aspetti della cultura pop, la sua Manon Lescaut manifesta la sua conoscenza enciclopedica della storia culturale europea.
Per Manon Lescaut Pascoe impiega dettagli ispirati alla storia ma immersi nel surreale. I dettagli della Locanda ad Amiens e la banchina in cui le donne condannate sono riunite in attesa dell’esilio suggeriscono un attento studio dei luoghi del 18° secolo . (L’idea di Pascoe di concedere a ciascuno degli esuli un momento di commiato con i propri cari è un altro esempio di come la messa in scena non convenzionale di Pascoe sia in grado di risolvere un momento di confusione insito nel libretto – come è possibile che solo Des Grieux e Lescaut abbiano abbastanza soldi per corrompere le guardie affinché gli permettano qualche momento da soli?)
Invece, nel secondo atto ambientato nelle stanze lussuose di Geronte, e nel quarto atto ambientato in immaginarie terre selvagge della Louisiana, Pascoe crea inizialmente un mondo onirico di eccessi in stile ancien régime e poi l’incubo di una terra desolata, dove pezzi di arredamento del secondo atto ricompaiono come detriti spezzati nell’America francese.
In tutta l’opera, Pascoe utilizza una tecnica che dona unità alle quattro scene che Puccini ha estratto dalla grande serie di romanzi del 18° secolo dell’abate Prévost. Nel proscenio rivediamo la rappresentazione di pagine del manoscritto di Prevost proiettate su una parete posteriore che, di tanto in tanto, si divide lungo una linea verticale frastagliata, aprendo le quattro scene principali – la pensione, gli appartamenti di Geronte, il molo, e le terre selvagge.
Con un altro colpo di genio, il celebre Intermezzo all’inizio del terzo atto, viene invece trasferito alla fine. Il terzo e quarto atto sono così combinati con l’Intermezzo (che, dopo tutto, comprende la musica che allo tempo stesso ricorda il terzo atto e annuncia il quarto), donando continuità tra due scene di forte impatto.
Durante l’Intermezzo, la parete-manoscritto si apre ancora una volta e il pubblico osserva le onde del mare aperto, mentre Manon e Des Grieux navigano verso l’America – un effetto che Puccini stesso, il creatore della straordinaria transizione di scene nell’atto finale di Madama Butterfly – avrebbe potuto trovare avvincente.
Manon Lescaut è basata su un romanzo dell’Abbé Prevost e il regista John Pascoe sceglie saggiamente di ricordare continuamente al pubblico l’ispirazione per l’opera. Nonostante i molti eventi non realistici che caratterizzano la trama, il fatto che Pascoe collochi l’opera all’interno della struttura di un libro aiuta a rendere Manon Lescaut credibile.
La produzione della Washington National Opera è straordinariamente sontuosa per i nostri tempi di budget sempre più ristretti. Le scenografie decadenti e gli sfarzosi costumi di John Pascoe – che è anche il regista di questa produzione – sono esattamente quello che la grande opera dovrebbe offrire: un brillante spettacolo d’epoca pieno di elementi visuali, reso memorabile dalla musica favolosa e dall’elegante canto. Questa produzione può vantare tutto quanto sopra
Il revival della produzione 2004 di John Pascoe per la Washington National Opera non ha deluso. . La creazione elegante di Pascoe vanta tutto ciò che un’avvincente produzione di una opera tradizionale può offrire. Grazie al team dinamico di artisti ben assortiti, la produzione è diventata un vero successo. La produzione di Pascoe è decisamente un evento della stagione da non perdere.
La produzione della WNO straripa di scenografie e costumi mozzafiato – forse la migliore produzione in assoluto attualmente su un palcoscenico di Washington. Il credito per tutto ciò va all’inglese John Pascoe: in fatti il regista della produzione ha ideato anche le scenografie e i costumi. Questo spiega l’effetto singolare del suo lavoro.
Inizia con una pagina, letteralmente: una grande pergamena su cui il testo proiettato imposta le scene (come se il pubblico non avesse già tutte queste informazioni e ben altro nei loro programmi). Dopo che la pagina ha fatto il suo lavoro all’inizio dei tre atti, si spacca in due per mostrare le accuratissime scenografie. E pure i bordi frastagliati della pagina non scompaiono mai completamente, dando una certa forma ai lati delle scenografie, spesso con l’uso di un’altra diagonale sopra le scene che crea un interessante spazio avanscenico.
Lavorando con un paio di specchi angolati sulla destra del palcoscenico, Pascoe ricrea l’indaffarata piazza della città di Amiens, che si trasforma sapientemente grazie al gioco di luci di Ruth Hutson, passando dal brillante riverbero di un pomeriggio, all’intensa profonda del crepuscolo, fino ad arrivare allo scintillio della sera, quando le stelle emergono nel cielo per fare da eco al barlume delle lanterne poste sull’imponente scalinata della locanda.
Sulla scena ci sono più di una ventina di persone alla volta, raggruppati, coordinati nei colori e presentati in un tableaux, come in un dipinto Breugel.
Anche il sontuoso palazzo di Geronte è una meraviglia, dominato da un grande armoire in cui Manon stessa appare a un certo punto, tra i diademi e gioielli che ama così tanto. L’interno è ricco di amorini rococò e nuvole, anche qui moltiplicato dal riflesso negli specchi.
La cupa scena del molo nel terzo atto è in contrasto a tutto ciò che ha preceduto, come lo è la sfumatura rossa che accompagna la loro fuga verso l’America.
La Washington National Opera ha inaugurato la stagione di primavera del 2013 con il revival della sontuosa produzione di Manon Lescaut diretta da John Pascoe e condotta dal direttore musicale Philippe Auguin.
Una produzione sontuosa ed allo stesso tempo dinamica con scenografie che trasportano lo spettatore nel periodo storico in cui si svolge con ambienti, colori e coreografie che trasmettono le emozioni dell’amore epico di Manon e des Grieux. Particolarmente interessanti i costumi che hanno caratterizzato l’ epoca di grandi differenze sociali in una cornice che ha accompagnato un cast d’eccezione.
Se ci fosse bisogno di una conferma inequivocabile che la Washington National Opera deve continuare a produrre la grande opera classica come parte della sua missione, allora la troviamo nella produzione di Pascoe del Don Giovanni. Per conto mio non avrei voluto perdere né una nota né un momento.
Il regista inglese John Pascoe riesce a fare quasi tutto davvero “a puntino” in questa produzione. Aiuta che quest’uomo è un triplo ingegno. Ha anche disegnato le scene e i costumi per la produzione.
Nonostante ci sia raramente abbastanza tempo per le prove della messa in scena di un’opera, sembra esserci una coerenza in questo Don Giovanni che permette a tutta la produzione di prendere forma splendidamente.
L’energia e la fisicità di ogni personaggio, e la fondamentale direzione scenica data loro, erano credibili dal primo fino all’ultimo momento. Tutti in scena hanno perfettamente calzato un personaggio facilmente identificabile.
Pascoe sapeva cosa voleva trasmettere con questa storia e queste persone. E ci è riuscito in pieno.
La produzione di Pascoe – che ho perso la prima volta – non è noiosa!
Qualsiasi regista che ama abbastanza un’opera per farne una vera e propria storia, piuttosto che solo spostare cantanti attorno al palcoscenico, ha le mie simpatie, e Pascoe ha avuto delle buone idee, in particolare l’attrazione palpabile tra Giovanni e Donna Elvira.
Ora siete ancora in tempo per vedere la superba e avvincente produzione del Don Giovanni di Pascoe per la Washington National Opera, e ne vale davvero, davvero la pena, che sia per la centesima o per la prima volta, che abbiate tutto il tempo del mondo o che andiate di fretta.
Quello che ci viene offerto all’Opera House è una tavolozza di complicazioni ritmati quasi perfettamente dal regista John Pascoe, che ha anche ideato i set sovradimensionati e i costumi, inscenati nella Spagna di Franco, ma con elementi dei tempi di Mozart infilati qua e là.
Riesce a catapultarci nel bel mezzo dell’azione – e di azione ce n’è un sacco.
Don Giovanni viene presentato in un revival della produzione di John Pascoe del 2007 che appare al contempo elegante e trendy, arricchita da costumi fantasiosi che fanno l’occhiolino ai viaggi nel tempo di un episodio di Doctor Who.
Alcune delle immagini sceniche di Pascoe – ad esempio una tenebrosa scena in chiesa – sono a modo loro incantevoli come la musica.
Quello che aiuta il tutto a funzionare è che Pascoe sa come far entrare tutto il cast non solo nei loro ruoli, ma nell’essenza di un’opera. Sa anche come mantenere un’opera divertente – un dono non per niente secondario, direi.
La Donna Anna di Meagan Miller ha un aspetto favoloso in alcuni dei costumi più eleganti di Pascoe (uno dei suoi cappelli farebbe un figurone ad Ascot).
Un incontro innovativo e avvincente con una delle opere più note del repertorio.
John Pascoe è riuscito a mettere in scena un mondo di fantasia in cui far svolgere questa opera. Il suo genio brilla ancora nella terrificante scena del cimitero verso la fine del secondo atto.
Gli otto personaggi principali s’impegnano e si calano così tanto nelle emozioni delle loro arie, serenate e lamentazioni che in certi momenti quasi si dimentica che cantano in italiano: così viva scorre la bruciante emozione delle loro passioni.
Il regista John Pascoe ha aggiunto tocchi interessanti. Per esempio, prima d’ora non avevo mai visto un neonato in Don Giovanni, ma qui c’è Donna Elvira, uno delle ex conquiste del Don, che appare con uno in braccio nella sua prima scena in piazza.
Un brillante accenno alle conseguenze – all’incarnazione, si potrebbe dire – delle azioni del Don.
2 La produzione importata di John Pascoe di Lucrezia Borgia di Donizetti
3 La produzione di Sir Nicolas Hytner di Serse di Handel
La produzione di John Pascoe dell’opera di Donizetti basata sulla tragedia di Victor Hugo è stata usata per la prima rappresentazione in assoluto di Lucrezia alla San Francisco Opera. L’opera è anche servita per il ritorno di Renée Fleming, assente dal palcoscenico della San Francisco Opera per oltre un decennio.
Il risultato di una collaborazione tra Renée Fleming e John Pascoe sviluppatasi in anni e anni di discussioni, la concettualizzazione di Lucrezia di Pascoe fu originariamente allestita dalla Washington National Opera. Pascoe ha affinato la storia della lotta per il potere tra il Duca (della famiglia d’Este) e la Duchessa (della famiglia Borgia) della Ferrara rinascimentale Nelle mani di Pascoe, i dettagli della trama si dipanano, offrendo una rappresentazione drammatica notevolmente coesa.
[…] la messa in scena è ricca d’intuizioni che illuminano la trama. Suggerire che una persona con una reputazione così losca come Lucrezia è lei stessa vittima della crudeltà del duca aiuta a impostare l’epilogo del suicidio di Lucrezia, quando si rende conto di essere stata la causa della annichilimento di suo figlio, che era diventato la sua ossessione.
Ho già espresso la mia convinzione che la decisione di Pascoe di proporre una storia d’amore apertamente gay tra il capitano Gennaro e il suo compagno d’armi Maffio Orsini è stato un colpo geniale. Questo aiuta a spiegare la decisione di Gennaro, un uomo segnato, di indugiare a Ferrara per un’altra notte, con conseguenze fatali.
[…] credo che Lucrezia Borgia affascini ancora molto il pubblico. L’ho vista la prima volta a Los Angeles nel 1975 eseguita da Beverly Sills, una sostenitrice dell’opera del ventesimo secolo, con Gaetano Scano, Suzanne Marsee e Richard Fredricks. Il mio entusiasmo per l’opera non è mai diminuito.
Sono orgoglioso di Renée Fleming per aver sostenuto quest’opera nel ventunesimo secolo, e per aver arruolato John Pascoe, Plàcido Domingo e la Washington National Opera nella creazione della nuova produzione. Sono parimenti orgoglioso che la San Francisco Opera abbia usato questa produzione non solo come mezzo per ristabilire i legami della compagnia con Renée Fleming, ma anche per allestire uno spettacolo musicale degno di fama mondiale di una opera storicamente importante e molto appagante.
Il regista John Pascoe ha messo in scena The Medium nel 1946, l’anno in cui è stato scritto, tra le macerie di un’Europa postbellica. La spossata Flora (Barbara Dever) è diventata una ladruncola, raccogliendo mobili lasciati per strada e barattando sedute spiritiche fasulle in cambio di soldi per comprare cibo prezioso.
Il set, ideato dallo stesso Pascoe, riflette la realtà fisica del mondo di Madame Flora. Frammenti frastagliati di metallo sbucano attraverso il tetto, ricordandoci le rovine all’esterno. Tavoli e sedie, sparsi a giro e appesi inutilmente al soffitto simbolizzano il suo materialismo; per lei nulla ha valore se non può metterci le mani sopra e magari rivenderlo. I misteri dell’anima sono irrilevanti per questa donna che lotta per sopravvivere. Così, quando un inspiegabile evento spiritistico infrange la sua cinica facciata, essa sviene per la paura di questa forza sconosciuta… ‘I morti non tornano’ piagnucola pietosamente Madame Flora, ma invano: i ricordi indelebili della seconda guerra mondiale dimostrano che sono tornati.
La classica opera The Medium di Gian Carlo Menotti torna al Festival di Spoleto USA in una produzione visivamente fantasiosa messa in scena con forza al Dock Street Theatre.
La regia di John Pascoe da sola vale il costo del biglietto. È semplicemente geniale: economica nel suo uso dello spazio, drammaticamente abile, emozionante, sottile e terrificante esattamente nei momenti giusti. Il salotto di Madame Flora sembra il guscio di un negozio di antiquariato colpito dalle bombe, con macerie spinte da un lato e sedie penzoloni su in alto tra un reticolo irregolare di enormi travi d’acciaio, alcuni piegati come se fusi da un fuoco intenso.
Il salone è incorniciato sui lati da specchi arrugginiti e malconci. Il cumulo di macerie sembra i resti di un arco di trionfo, e s’intravedono l’emblema di un’aquila e una testa barbuta tra i mattoni. (La testa della statua, come la rovina di un dio greco o di nemico sconfitto, suggerisce sia il padre mancante in questa storia, sia la guerra che ha distrutto questo mondo.)
Sul lato opposto vediamo una statua della Vergine Maria, circondata dal luccichio delle candele. Ogni volta che le massicce porte sul retro del salotto si aprono per far entrare Madame Flora o i suoi clienti vediamo la sagoma desolante di una cittadina devastata dalla guerra. Verso la fine dell’opera, quando la luce viene proiettata attraverso la porta verso il pubblico, scopriamo che ciò che sembravano stelle o guizzi di luce riflessa sulla porta posteriore sono probabilmente fori di proiettili. L’indomani della seconda guerra mondiale – il mondo che ha visto la prima assoluta di The Medium nel 1946 – è evocato con grande forza dalla scenografia di questo set.
Barbara Dever nel ruolo di Madame Flora entra con grande forza in questo mondo fatiscente. Anche il suo personaggio è sull’orlo del collasso; cantata con grande potenza, la sua rappresentazione di Madame Flora è stata convincente in ogni parte.
John Pascoe, il regista, scenografo e costumista del revival presentato a Spoleto, rende la storia di The Medium di nuovo incalzante. Questo è The Medium in assoluto. Pascoe mantiene la storia negli anni quaranta, ma la trasferisce nelle macerie di un’Europa devastata dalle bombe. Madame Flora si è fatto casa in quel che resta di un edificio industriale in cui travi d’acciaio spezzate pendono dall’alto. Quando si aprono le enormi porte sullo sfondo, incombe uno skyline malridotto. Madame Flora non appare più come una comune truffatrice, ma come una vecchia donna che lotta per la sopravvivenza dopo l’Armagheddon.
Le persone intorno a lei si trovano ad affrontare le proprie lotte. Invece di scritturare Monica, la figlia e complice di Flora, come la solita ingénue, Pascoe la rende meno minuta ma più appassionata. Per il ruolo del muto Toby, l’altro complice di Flora, Pascoe ha scartato il tipico genere “agile ballerino”, scritturando un attore che ha vero magnetismo, ma anche una disabilità fisica. Ogni movimento di Toby è carico di emozione.
Nella prima di venerdì, la Baba – o Madame Flora come la conoscono i clienti delle sue sedute spiritiche – di Barbara Dever è una presenza massiccia, vocalmente e fisicamente. Eppure, quando ‘Baba’ è sconvolta da una svolta inspiegabile nella sua seduta spiritica, la Dever lascia apparire tutta la sua debolezza e stanchezza. E più disperata diventata, più pietosa appare.
La robusta voce e figura di Jennifer Aylmer hanno offerto una Monica più femminile del solito. La musica di Monica, il principale filo lirico dell’opera inframezzo allo sconvolgimento di Baba, ha acquisito un nuovo pathos, e le sue scene con Toby erano pervase di desiderio. Anche se Menotti non ha dato alcun testo da dire o cantare al muto, l’attore Gregg Mozgala, che soffre di paralisi cerebrale, si è espresso perfettamente attraverso il bruciante desiderio nei suoi occhi e l’infervorato sforzo dei suoi movimenti.
2 Ken Noda and friends
3 La produzione di Don Giovanni di John Pascoe messa in scena dalla Florida Grand Opera
Le rivisitazioni liriche spesso non riescono, ma la produzione di John Pascoe ha portato Don Giovanni a infliggere le sue atrocità ai tempi della Spagna franchista – e ci è riuscita brillantemente.
Al di là della performance dei solisti e dell’ensemble, la visione di Pascoe dell’opera di Mozart originariamente ambientata nel periodo classico proietta la scena in avanti dai giorni bui dell’Inquisizione spagnola a un periodo altrettanto oscuro della storia del paese, la Spagna di Franco della fine degli anni 1940, un periodo a memoria d’uomo.
Le grandiose scenografie sembrano essere fatte di ferro arrugginito, il materiale preferito di fine secolo usato per molti monumenti che ancora si vedono negli ampi viali di Madrid e Barcellona.
I personaggi portano splendidi costumi accuratamente ricercati, dalle uniformi dell’esercito del dittatore fascista ai vestiti multicolore dei contadini, inframmezzate dalle tonache di pii sacerdoti e devote suore che si affrettano qua e là nelle varie scene. Pure le danze tradizionali del periodo di Mozart, il minuetto e l’allemanda, sono trasformate in focosi flamenchi.
Nella sua fantastica, geniale nuova produzione del Don Giovanni di Mozart, la Florida Grand Opera sposta l’ambientazione spagnola trecento anni in avanti alla fine degli anni 1940.
Il cast, l’orchestra e il regista eccellono anche nei grandi momenti. La scena verso l’inizio in cui Donna Anna e Don Ottavio giurano di vendicare l’assassinio del padre di Donna Anna aveva una forza inquieta da togliere il fiato. John Pascoe, regista, scenografo e costumista, ha creato un ambiente con molti tocchi del ventesimo secolo.
In definitiva, il brillante e originale concetto di Pascoe, intriso d’intuito e fantasia riesce non solo a realizzare l’esteriorità della visione di Mozart e Da Ponte, ma a esplorare i fondamenti psicologici che hanno fatto di questo melodramma una pietra miliare della cultura europea.
Superficialmente, la produzione di Pascoe trasferisce l’ambientazione di quel capolavoro operistico agli anni 1940. Ma non è tanto un tempo o un luogo specifico che conta in questa messa in scena costantemente sorprendente che venerdì sera ha aperto la stagione 2010-2011 della compagnia al Winspear Opera House. Questo è un Don Giovanni scardinato nel tempo, fluttuante in un mondo di sogno, dove le epoche si scontrano nel regno del subconscio. I costumi, accentuati da spalline fuori misura e da altri simboli del potere, enfatizzano sessualità e gerarchia.
La Chiesa cattolica, praticamente assente nel libretto originale, emerge costantemente in sottofondo, spesso in linde sfilate di suore o sacerdoti, o nelle statue imponenti della Vergine e del Bambino, evocata dalla tragicomica aggiunta di un neonato nelle braccia della Donna Elvira.
Si potrebbe sostenere che Mozart e il suo librettista Lorenzo Da Ponte abbiano ignorato, con insensibilità maschilista, l’aspetto riproduttivo delle avventure di Giovanni nella loro versione della storia, e che questo piccolo tocco di regia colmi una lacuna evidente. Tuttavia, al di là di ciò, questa aggiunta di una donna viva che porta in braccio un bambino in presenza di una statua della Vergine con il Bambino, a sua volta riecheggia la torreggiante presenza del Commendatore la cui statua prende vita nella penultima scena come un enorme zombie.
Tutto ciò evoca, a sua volta, ancora più lussuria e decadenza in questa messa in scena. Il minuetto, accompagnato da alcune delle note più famose di Mozart, si trasforma in un folle ma meticolosamente complesso tango. Più tardi, prima dell’arrivo della statua del Commendatore che grida alla vendetta, la scena della cena muta in un quasi stupro sull’orlo della pornografia. E la riconciliazione di Zerlina e Masetto è meravigliosamente carica di sensualità in un modo raramente visto sui palcoscenici lirici.
Il risultato di questa rielaborazione e rivalutazione quasi giocosa della versione originale di Mozart e Da Ponte è un grande successo, offrendo una serata immancabilmente coinvolgente con gli occhi di tutti incollati al palcoscenico, se non altro per vedere quale sarà la prossima deliziosa bizzarria che Pascoe porterà sulla scena!
La presentazione di una pantomima onirica fluttuante sopra l’Overture si adatta sia visivamente che filosoficamente all’aura bizzarra che pervade il resto della messa in scena.
Pascoe si è occupato di quasi tutto, compresi le scenografie, i costumi e la regia. Le scenografie sono surreali con un pizzico di Fellini. I costumi sono tradizionali ma efficaci e aiutano a sviluppare i personaggi.
Pascoe è riuscito a vivacizzare il palcoscenico con cose interessante da vedere per l’intera opera. Oltre all’occasionale processione solenne dei religiosi, comparse eteree si muovano sul palcoscenico, posando in gruppo qua e là.
Tutta questa azione si è rivelata un gradito cambiamento a quella che invece può essere un’opera molto statica.
Il Don Giovanni di Pascoe riempie il Winspear Opera House con memorabili, anche se inaspettate, immagini. È un tesoro comico rivitalizzato con una profonda intensità e fortissime emozioni.
Il regista John Pascoe esplora simbolicamente il dramma giocoso del librettista Lorenzo Da Ponte, combinando elementi drammatici seri con tratti comici sublimi. Questa opera non solo seduce, addirittura canta.
Simboli cristiani s’intrecciano in tutta l’opera, aggiungendo un’altra dimensione. Spesso compaiono sacerdoti nelle scene, un ricordo agli occhi di Giovanni che non esiste una cosa come la dissolutezza sfrenata. In un’altra scena un’imponente fontana e la statua della Vergine Maria che tiene il Bambino Gesù lo sovrastano. Si spruzza addosso dell’acqua, ignaro al suo finto battesimo.
Assicuratevi di non perdere quest’opera vivace e straordinaria al Winspear Opera House!
Sono molto contento di potervi dire che il Don Giovanni ora in scena al Winspear Opera House è una delle produzioni più entusiasmanti che vedrete mai da qualsiasi parte. Questa è la terza volta che ho visto quest’opera. Le precedenti due volte ero rimasto un po’ insoddisfatto, ma ora sono lieto di dire che in questa versione ci sono riusciti in pieno. La messa in scena è impeccabile, i cantanti sono di altissimo livello, i costumi, le luci, le danze e la musica – tutto in perfetta sintonia.
Tutto questo talento che esplode sul palcoscenico è stato diretto con mano sicura dal regista, scenografo e costumista John Pascoe. Ha capito perfettamente il necessario equilibrio tra grandiosità dirompente e sfumature sottili.
Questa è una tragica commedia o una tragedia comica. Si tratta di una combinazione difficilissima da mettere in scena perché altalena da una all’altra diverse volte. Una prova per soli esperti, e Pascoe dimostra la sua maestria.
Al pari della sua regia, i costumi e le scenografie della sua produzione sono iperesagerati, ma al contempo pieni di dettagli minuziosi. Ci sono moderni rivetti sparsi in tutto il set, dando un tocco interessante alle figurazioni per lo più neo-classiche. Questo dettaglio molto industriale si riflette nel costume di Don Giovanni fatto di cuoio rivettato. Con un colpo d’occhio ci sta dicendo che anche se quest’opera è un classico, è tuttora contemporanea.
Venerdì sera, per l’ultimo spettacolo della compagnia in questa stagione, una protagonista stellare e un forte cast di supporto, più scelte di regia ingegnose e interessante, hanno offerto una produzione appassionante di quest’opera che conosciamo così bene da scordarci spesso la sua forza.
Tanto merito per questo va al regista John Pascoe, che chiaramente ha pensato a lungo sul tipo d’impatto che vuole per le persone in questo suo particolare universo, e la sua visione funziona. I personaggi principali in quest’opera si distinguevano per caratterizzazioni nitide che hanno donato loro un tocco di umanità in più.
I set erano semplici ma efficaci. Le luci di Jeff Davis hanno sottolineato abilmente i concetti di Pascoe. E, per di più, queste erano buone idee, da un regista che non solo sa come intrattenere il pubblico, ma che ha persino qualcosa da dire.
Il suo quarto atto è abbastanza insolito; la seconda parte dell’atto si svolge al rallentatore in un mondo onirico rosso sangue, in cui si vedono le mani del pubblico negli spalti dell’arena muoversi a un quarto della velocità di quelli dei protagonisti.
È difficile portare qualcosa di nuovo a un’opera così nota come Carmen, ma la produzione del classico di Georges Bizet messo in scena da Pascoe con la Palm Beach Opera colma la promessa dell’opera con dell’ottimo teatro.
Il modo in cui Carmen muore è molto più violento di come viene inscenato normalmente, ma funziona. Viene trafitta dalla lancia di un picador, e non dal coltello che Don José porta nascosto. E l’omicidio avviene sotto gli occhi della folla che guarda la corrida, mentre normalmente accade fuori dall’arena ring o in un vicoletto, dove i tragici amanti vanno incontro al loro destino da soli.
Carmen è forse l’opera più popolare e conosciuta al mondo, ed è stata messa in scena innumerevoli volte. La versione della Palm Beach Opera dimostra che anche le opere più logore possono risplendere come nuove, se interpretate con una visione concettuale giusta.
Le molte idee originali di Pascoe hanno portato una benvenuta ventata di freschezza a questo arcinoto cavallo di battaglia.
Una produzione di alta qualità del regista John Pascoe, che rispetta l’essenziale di una semplice storia che potrebbe facilmente diventare kitsch o pacchiana.
Il sig. Pascoe, che ha anche ideato le scenografie, i costumi e le luci, fa emergere abilmente i temi della ribellione giovanile, delle lotte di classe e addirittura dell’ardore rivoluzionario in un lavoro che, come scrive in una nota del programma, ‘ben precede i drammi successivi di Beaumarchais’.
‘Salta tra le braccia della libertà’ Friendly esorta Flora a un certo punto, invocando una parola carica di un speciale significato in tutta l’opera.
La produzione di Pascoe è inframmezzata di colpi di scena psicologicamente contemporanei. Il suo scopo era rappresentare il periodo, applicando la sensibilità dei nostri giorni per evocare una società rinascimentale contraddistinta dall’aggressività maschile. Torreggianti mura di mattoni incorniciano il set con segrete sotterranee che eruttano fumo … scene di feste decadenti in cui giovani uomini e donne ubriachi sono avvinghiati a due o tre, una minacciosa guardia carceraria che schiocca la sua frusta, e altro ancora. Pascoe evoca perfettamente lo squallore della storia! Pascoe ravvisa Lucrezia come una donna decisa, probabilmente vittima di abusi da giovane, che cerca di sopravvivere in un mondo ferocemente maschile in cui ‘la vendetta e l’omicidio sono i frutti dell’amore’, come egli stesso ha spiegato in una nota del programma. Fleming si è gettata anima e corpo in quest’arduo ruolo, correndo enormi rischi dal punto di vista vocale, cantando con cruda intensità e ricco timbro sensuale, calandosi completamente nel ruolo di questa bellissima e sanguinaria nobildonna dell’Italia rinascimentale. Per un certo verso, l’unico vero rapporto romantico è l’amicizia tra Gennaro e il suo fedele compagno d’armi Maffio Orsini. Pascoe sostanzialmente ci presenta questi amici come amanti, e in tutta franchezza, i duetti di Donizetti per questi due personaggi, in cui giurano di rimanere insieme fino alla morte, sono i momenti di Maggior tenerezza e incanto dell’opera.
La produzione meditatamente concepita di John Pascoe finisce con Lucrezia che si taglia la gola. Il suo set minimalista, fatto di scalini e fatiscenti facciate in mattoni, è sempre in penombra, tuttavia possiamo benissimo apprezzare il fantasioso fascino dei costumi di Pascoe.
Gli allestimenti e i costumi del regista, scenografo e costumista John Pascoe erano al contempo sbalorditivi e splendidi, rispecchiando la giusta atmosfera e sensazione per ogni scena. I costumi di Pascoe sono variopinti, straordinari e drammatici. I costumi del primo atto, in particolare, catturano la magia, il mistero e la vivacità del carnevale veneziano. Gli abiti di Pascoe per Miss Fleming sono di una bellezza sconvolgente, e il suo costume da guerriera per la scena finale mozzafiato. Egli non si è sottratto dal presentare gli elementi tabù della storia, anzi li traccia in modo chiaro, portando questa trama, con tutti i suoi sottintesi, in primo piano. Finalmente vediamo un regista che non ha eluso il rapporto omosessuale tra Gennaro, figlio illegittimo di Lucrezia, e il suo giovane amante Maffio Orsini (un contralto in travestì). Cantano uno dei duetti d’amore più appassionati e intenerenti nel canone donizettiano, alla stregua di Lucia e Edgardo, Nemorino e Mina. Si giurano amore eterno, si tengono per mano e si scambiano lunghi baci appassionati.
Washington National Opera offre ottimi argomenti per rivalutare questa opera cupamente tragica. Nella visione di Pascoe – che è il regista, scenografo e costumista della produzione della WNO, Lucrezia è il prodotto di una famiglia violenta, una donna intrappolata e corrotta dai modi spietati dei suoi parenti scellerati, ma che al contempo anela di poter assaporare qualcosa di più puro – l’amore materno. Per me ha centrato in pieno! Gli elementi visivi ben si addicono a questo mondo tenebroso creato da Pascoe, un mondo sovrastato da torreggianti mura cinquecentesche che inquadrano l’azione ben ritmata. La più sorprendente delle geniali trovate della regia di Pascoe riguarda il rapporto tra Gennaro e Maffio … Egli dà una dimensione inedita ai personaggi segnati dalla sorte e insaporisce l’intera opera con un po’ di pepe inaspettato.
… Le scenografie e i costumi al contempo meravigliosamente tradizionali ma anche un po’ post-punk sono stati creati dal regista John Pascoe. Le passioni di Gennaro e Orsini, amici per la pelle, diventano decisamente gay nella strofa finale. In questo caso, varcare i confini conosciuti è una valida scelta di regia.
Pascoe, che ha ideato scenografie e costumi e agito anche come regista, ha dato alla produzione un look distintivo. Un mondo minaccioso di mura incombenti rievoca l’atmosfera di un’Italia cinquecentesca, mentre una varietà sorprendente di paramenti, che richiamano epoche diverse, fornisce tratti e sprazzi di colore.
Per la Maggior parte i fantasiosi tocchi visivi si sono dimostrati intrattenenti, come lo è stata la più audace trovata di regia di Pascoe. Lucrezia Borgia non offre una tipica storia d’amore tra uomo e donna visto che Alfonso e Lucrezia sono tutt’altro che una coppia romantica; per contro, i due personaggi maschili, Gennaro e Orsini,quest’ultimo un ‘ruolo en travestì – l’opera ha una lunga storia di donne nel ruolo di uomini ) – esprimere grande reciproco affetto.
Trovando abbondante giustificazione nel libretto per una sotto-trama gay, Pascoe la estrae abilmente per fornire una dimensione inedita ai personaggi segnati dalla sorte, che si baciano nella penombra e parlano di scappare via insieme, prima che la maledizione dei Borgia li travolga.
Il finale prende volo. Dalla famosa Ouverture Leonora n. 3 fino alla scena corale, raggi di speranza e di trionfo irradiano dal palcoscenico e dalla buca orchestrale del Karvis Center.
L’unica opera di Beethoven ha avuto la sua prima nella Florida del sud in una produzione ammirabile al Karvis Center. Nonostante alcuni posti vuoti, il folto pubblico ha apprezzato i fuochi d’artificio che il regista John Pascoe e il direttore orchestrale Gerard Korsten gli hanno offerto.
La mano sicura di John Pascoe – poliedrico come regista, scenografo e costumista – ha diretto tutti gli aspetti della produzione. Le ambientazioni tradizionali sono riuscite bene, e la tavolozza sobria e i costumi in nero, beige e bianco sono molto efficaci.
La messa in scena era bellissima – un grande risultato per una compagnia lirica regionale.
Questo allestimento più minimale può ora trovare spazio nei teatri più piccoli d’America, che fino ad ora probabilmente non potevano permettersi una produzione di Fidelio.
Quando Leonora aiuta Florestan a uscire dalle segrete, egli sale lentamente una scala verso la libertà mentre gli ottavini suonano le loro tre scale ascendenti nell’Ouverture Leonora n. 3.
Un bel tocco di regia di Pascoe, che riesce a combinare regia, costumi e scenografia ottimamente. Lui è ovviamente brillante … Nell’affidare la creazione dei nuovi set e costumi al regista John Pascoe, la Palm Beach Opera ha corso un bel rischio, ma ha vinto la medaglia d’oro.
Anche se la depravazione innata di Don Giovanni è solitamente il punto focale di questa opera, la produzione attuale, diretta da John Pascoe, enfatizza in modo particolare il ruolo della sua trinità profana di antagoniste femminili, permeando questa produzione con un’intrigante matrice femminista.
Gran parte della forza della serata è venuta da Pascoe, che, oltre a ottenere una risposta ben coordinata dal cast, è riuscito a destreggiarsi abilmente in un intreccio equilibrato di comicità e tragedia… La scenografia di Pascoe ha fornito una fluida processione d’immagini evocative (la comparsa di una cattedrale riccamente ornata durante il quartetto del primo atto è stato solo uno degli irresistibili elementi visivi), mentre i suoi costumi rifulgevano d’un fascino elegante in ugual misura.
La più grande star della produzione potrebbe davvero essere il regista John Pascoe che riesce ad ottenere una risposta uniformemente animata e ben coordinato dal cast. Gli elementi umoristici e quelli tragici sono altrettanto abilmente tratteggiati. La vista di Donna Elvira che arriva con il bambino nato dalla sua storia con Don Giovanni la dice molto lunga.
L’inglese John Pascoe, un uomo con trent’anni di esperienza nel mondo lirico, ha portato alla Washington National Opera un Don Giovanni che non è solo bellissimo, ma anche musicalmente appagante.
… Ma perdersi in speculazioni interpretative a questo punto ci fa solo perdere di vista l’incredibile perfezione di questo spettacolo. Don Giovanni è un’opera lunga con molte scene che facilmente diventano frammentarie in mani meno esperte. Pascoe riprende la forza drammatica dello spartito negli accordi di apertura in re minore dell’ouverture e la mantiene durante entrambi gli atti dell’opera fino a quando la tensione non viene spezzata nell’epilogo che segue la morte di Don Giovanni. Ci si siede per tre ore come di fronte a un uragano di passioni che infuria dal palcoscenico e dalla buca dell’orchestra.
Anche se Pascoe sceglie un approccio essenzialmente senza tempo per le scenografie e i costumi, i riferimenti alla Spagna di Franco collocano la storia in un’epoca di turbolenza e di repressione. E i suoi allestimenti portano sul palcoscenico del Kennedy Center un senso di spazio cosmico che esalta l’universalità della storia. Le nubi scure che si addensano alla fine dell’aria del ‘catalogo’ di Leporello – per fare solo un esempio – chiaramente preannunciano il destino di Don Giovanni.
John Pascoe ha ideato e realizzato le scenografie e i costumi, e la sua regia trasferisce l’azione nella metà del ventesimo secolo con notevole successo, mettendo in risalto analogie tra Ginevra e la principessa Margaret. Gli allestimenti anni 1950 sono incantevoli, i cantanti sono anche bravi attori e l’intera produzione era ben ritmata. Un successo trionfale.
Un’interpretazione sobria e classica … John Pascoe è riuscito a rispecchiare la musica leggiadra di Haendel nella sua regia, nelle sue scenografie e nei suoi costumi, al contempo eleganti e moderni.
Dopo il plauso ottenuto dal suo ironico e nudo Ercole, il regista inglese John Pascoe è tornato a Spoleto Festival con la regia, le scenografie e i costumi di una sua nuova versione di Ariodante di Haendel. Ancora una volta è riuscito a comunicare qualcosa di nuovo.
Il leitmotiv della produzione di Pascoe è che le apparenze devono sempre essere messe in discussione perché la realtà è così spesso occultata.
… La storia gira intorno alla presunta infedeltà di Ginevra, che paga il prezzo delle menzogne raccontate dall’intrigante e geloso Polinesso.
Il basso Carlo Lepore ha recitato il ruolo del re di Scozia con intenso colore vocale. … Era eccellente sul palcoscenico.
Marta Vandoni Lorio ha recitato il ruolo di Dalinda come una dama di compagnia molto ‘british’, con eleganza estremamente riservata.
Il palcoscenico è circondato da pareti a specchio in cui i personaggi spesso si mirano chiedendosi perché i loro veri ‘io’ sono celati dietro le loro maschere, facendoli sembrare così diversi.
L’atmosfera grigia neo-gotica di questo palazzo reale un po’ fatiscente rende il flusso drammatico dell’opera ancora più emozionante.
Una produzione sobria e minimalista che ha funzionato perfettamente nell’intimo teatro di Spoleto.
Pascoe trasforma la vicenda in un intrigo politico. I due atti sono finemente motivati e riccamente caratterizzati con un eccellente uso dello spazio scenico. Nel tableau finale tutti quelli rimasti sul palcoscenico, perfino l’obbligatorio cane di corte, si azzuffano per accaparrarsi la corona abbandonata.
I costumi di Pascoe enfatizzano il glamour degli anni 1950 con una suntuosa tavolozza di nero, bianco e grigio, elementi in stile scozzese molto chic e bellissime uniformi militari, mentre sigarette penzolano da mani elegantemente inguantate. Con la sua scollatura da ritratto e i capelli raccolti, Ginevra ricorda la principessa Margaret. Un grande medaglione (l’Ordine Reale della Giarrettiera) è sospeso sopra al palcoscenico rappresenta la monarchia, ed enormi pareti a specchio offrono ai vari personaggi l’occasione per l’autoriflessione.Questo DVD doppio contiene la produzione di John Pascoe, ottimamente diretta e con splendidi costumi e scenografie.
Il Festival di Spoleto 2006 in Italia ha presentato l’opera di Vivaldi Ercole su’l Termodonte in una produzione allestita ed eloquentemente diretta da John Pascoe. Il tenore Zachary Stains interpreta il ruolo nudo, con solo un mantello di pelle di leone che sventola drammaticamente dietro di lui. A suo credito, Stains riesce a rendere l’effetto in modo sbalorditivo e comanda il palcoscenico come una bellissima statua classica che ha preso vita. La sua interpretazione unisce in modo ammirevole movimento, dramma, declamazione dei recitativi e canto virtuosistico. Anziché sembrare una trovata da quattro soldi, l’effetto della sua nudità è invero brillante, potente e totalmente in linea con la messa in scena generale fatta di angoli, ombre e contorni profondamente strutturati.
Il set di Pascoe è tutto superfici lucide, con specchi laterali che riflettono una scalinata abbellita con veri ulivi (quando rappresenta l’uliveta) o falli rotti sparsi in giro (quando evoca il campo greco).
Pascoe mantiene il palcoscenico essenziale e la sua azione chiara.
La produzione di Pascoe è spiritosa e funziona bene.
La produzione di John Pascoe è stata accompagnata da molto trambusto, in parte forse perché la rinascita di un’opera a lungo dimenticata è sempre motivo di fermento, ma forse anche in parte grazie alla sua messa in scena di rara originalità, immersa nel simbolismo tuttavia ancora fedele alle rappresentazioni esistenti della mitologia greca, tutto volto ad affascinare la sensibilità contemporanea. Se il fascino si rivelerà universale, dipenderà probabilmente dal fatto se il pubblico lirico riterrà, o no, che la nudità e la messa in scena lo distragga dalla splendida musica di Vivaldi. Ma una cosa è certa: le opere di Vivaldi sono in voga. ACQUISTALO ORA!
La regia di Pascoe offre un’ottima e ben integrata azione.
Le scenografie ultra-romantiche e i costumi d’epoca di John Pascoe – regista, scenografo e costumista – rivestono il palcoscenico di bellissime tonalità di oro brunito, oliva, terra e uno spavaldo pizzico di blu. I tableau opulenti di Pascoe – l’Hotel de Bourgogne con il suo palcoscenico rialzato, il balcone di Roxane adagiato in un possente salice cinese che sembrava pulsare di vita interiore, una suntuosa pasticceria e il tetro accampamento dei soldati ‘- erano semplicemente incredibili.
Cyrano, ambientata nella Francia del XVII secolo, è uno spettacolo sia per gli occhi che per le orecchie. I costumi opulenti di John Pascoe e l’austera grandiosità dei suoi set hanno richiamato ripetuti applausi.
I set e costumi di John Pascoe erano riccamente dettagliati, con un gusto per una tavolozza nelle tonalità terra, à la Rembrandt.
Ciò che salva la produzione in quei primi momenti è la magnificenza del set di John Pascoe. L’artista inglese ha dato all’immaginario mondo seicentesco di Cyrano un aspetto pittorico in ori bruniti e delicate tonalità terra. Rami penzoloni d’alberi e imponenti colonne s’innalzano verso il cielo, e di volta in volta il palcoscenico sembra straripare dalla calca di umanità o si svuota lasciando una solitudine disperata. È la rappresentazione visiva dello stato d’animo di Cyrano.
I costumi opulenti di John Pascoe contrastavano brillantemente con l’austera grandiosità dei suoi set.
Cyrano è stato anche realizzato con raffinatezza in uno stile ultra-tradizionale, come si addice a una storia ambientata nel XVII secolo, con scenografie e costumi di John Pascoe.
Le maestose e affascinanti scenografie di John Pascoe donano a questa storia fondamentalmente povera dal punto di vista emotivo un senso di portata storica, in una bella tonalità seppia autunnale.
L’Opéra de Québec ha fatto centro con questa prima produzione del pubblico della stagione. Il pubblico del teatro completamente esaurito era elettrizzato ed entusiasmato. Come si può resistere a un successo, soprattutto quando è il risultato della collaborazione di tutti gli interessati? John Pascoe ha diretto gli attori in maniera esemplare. I suoi set raffigurano una immensa bandiera giapponese, con colori cangianti che alla fine si evolvono in un disco di sangue, mentre sul palcoscenico divampa una guerra di bandiere tra gli Stati Uniti e l’Impero del Sol Levante. Pinkerton e Sharpless compaiono quasi come due fantasmi, vestiti di bianco abbagliante. Come non vedere il richiamo al colore della morte e del lutto nella cultura orientale??
Questa nuova produzione ha presentato una serie di tratti suggestivi e audaci. In ogni caso, si riconosce subito la mano di Pascoe nell’allestimento scenico che è dominato da uno sgargiante cerchio rosso che spicca sul luminoso sfondo bianco. Le stelle e strisce americane e il sole levante giapponese – austero, semplice ed elegante. L’entrata in scena di Butterfly con in mano la bandiera degli Stati Uniti è una dichiarazione fortemente simbolica. Ci rendiamo subito conto che le differenze tra il Giappone e gli Stati Uniti, lo sfondo sottostante al libretto, svolgeranno un ruolo di primo piano nella visione dell’opera del regista scenico. È valsa senza dubbio la pena di sviluppare questo tema.
A mio parere, il dramma di Madama Butterfly non è mai apparso così contemporaneo. Il regista, scenografo e costumista John Pascoe permette al dramma di emergere in una serie di tableau di grande bellezza; una perfezione che non ha bisogno di ritocchi. Anche i costumi sono molto belli. I grigi del coro fanno risaltare il bianco luminoso dei solisti, e le scenografie (anche esse di John Pascoe) sono molto zen: sobrie, minimaliste, eleganti, efficaci. È impossibile ignorare come la produzione faccia emergere l’arroganza di quest’onnipotente americano, che usa il mondo come il suo parco giochi, che ha né rispetto né interesse per ‘l’altra persona’, e che con noncuranza semina sofferenza e morte ovunque vada.
Tutte le prime di opere liriche dovrebbero essere così fortunate da avere una produzione di alto valore come questa. Il regista, scenografo e costumista John Pascoe ha dato un tocco di classe a tutto. Il suo ritmo incisivo ha regalato all’opera una fluidità cinematografica – l’effetto del palcoscenico diviso nel secondo atto è particolarmente brillante – e le sue scenografie e i suoi costumi d’epoca eleganti hanno portato a Democracy un meritatissimo plauso per la sua visione teatrale.
Democracy è molto ben fatto … La produzione di John Pascoe è semplice ed elegante, al pari dei costumi: le scene di corteggiamento rappresentate su un palcoscenico diviso sono deliziose. Le nuove opere americane non sempre possono usufruire di tutte queste belle cose ma Democracy le merita davvero.
Il regista, scenografo e costumista John Pascoe ha sapientemente sfruttato il detto ‘meno è meglio’ in una produzione concepita con ritmo incalzante e visivamente ammiccante, quasi priva di colore fatta eccezione per il verde (il colore delle banconote americane). Elementi visivi carichi di emotività hanno contraddistinto le scene.
Questa produzione di John Pascoe – il regista, scenografo e costumista – è il suo più bel lavoro che io abbia mai visto. Pascoe riuscito a separare e al contempo intrecciare le molteplici trame dell’azione drammatica in Democracy, creando anche le maestose e affascinanti scenografie nelle quali si svolgono.
… La nuova produzione brillava con una performance ad alta energia da parte del suo giovane cast, diretto con ritmo incalzante da John Pascoe.
… e l’avere John Pascoe come regista, scenografo e costumista ha garantito una produzione di alta classe … La regia a ritmo da film di Pascoe, le sue scenografie e i suoi costumi d’epoca eleganti e costumi d’epoca hanno dato a Democracy un voto visivo di fiducia.
La Washington Opera non ha risparmiato sulle virtù della produzione … I sontuosi costumi del regista, scenografo e costumista John Pascoe – lunghi abiti bianchi da ballo e smoking neri, con la signora Lee come unico personaggio che indossa un colore diverso, il verde … erano tra le star dello spettacolo. Pascoe ha dato un ritmo incalzante all’azione. Mi è piaciuto particolarmente il modo in cui ha messo in scena le alternanze cinematografiche di Wheeler tra due scene d’amore parallele sulle due metà del palcoscenico.
La nostra pazienza con le sfide con lo spazio del DAR viene premiata con questa appassionante e innovativa messa in scena di Manon Lescaut. Il regista, scenografo e costumista John Pascoe offre una sensibilità olistica alla produzione, utilizzando ogni centimetro dello spazio teatrale per integrare illuminazione, tessitura musicale e interessanti combinazioni di media. Mentre l’orecchio ascolta, l’occhio viene inestricabilmente attratto a esplorare i strati visivi della produzione, e la combinazione del dramma, della musica e di ciò che vediamo è spesso incredibilmente potente.
Anche se questo contraddistingue la produzione, purtroppo non basta per sopperire ai capricci intensamente antipatici di milady Manon Lescaut. Forse l’unica volta in cui la fatuità di Manon si sposa con l’arte fantasiosa di Pascoe è nel secondo atto, dove la vediamo finalmente circondata dalla ricchezza e dall’attenzione che brama.
Il secondo atto si svolge nel boudoir favolosamente opulento di Manon nella casa di Geronte de Revoir, l’uomo che ha chiaramente sposato per il suo denaro. Anche se lei si strugge per il suo povero ma presumibilmente vero amore Des Grieux, Manon è chiaramente altrettanto innamorata dei frutti della ricchezza. In linea con eccellente uso di Pascoe del simbolismo visuale, la sua camera da letto è dominata da sei giganteschi armadi sormontati da busti ancestrali meravigliosamente sinistri. Gli armadi contengono i suoi magnifici abiti e gioielli, ognuno un testamento alla sua vacua ricerca della ricchezza. Il contrasto che questi armadi enormi offrono alla prospettiva scenica, incombenti e tuttavia silenziosi, è profondamente angoscioso. Manon incomincia a ballare per il marito infatuato tutt’intorno a questi colossi, e alla fine entra in uno. L’intera sequenza è straordinaria, di volta in volta incantevole e grottesca.
L’enorme e onnipresente oggetto appeso trasversalmente sopra il palcoscenico nella nuova accattivante produzione di Manon Lescaut della Washington National Opera mette tutto in una prospettiva per cosi dire tagliente. È la piatta lama consumata di una ghigliottina, un riecheggiamento di cosa c’è in serbo per tutti quei vanagloriosi aristocratici parigini e i loro seguiti – l’oscenamente ricca e decadente classe che Manon trova così irresistibile – quando verrà la rivoluzione
E che ci azzecca questa ghigliottina? È solo una delle idee con cui il regista, scenografo e costumista John Pascoe ha sviluppato con fantasia e incisività la trama del lavoro. Questa Manon Lescaut riempie i vuoti in una storia che il compositore ha sforbiciato nell’interesse del flusso lirico. Il risultato è un’efficace distribuzione di contesto su molti livelli. Le motivazioni – e le conseguenze – sembrano incombere ancora più minacciosamente in una messa in scena che ci pone in modo così vivido nel bel mezzo di una Francia sull’orlo del collasso.
L’aspetto di tutta la produzione si addice molto bene alla creazione di Puccini, fornendo al contempo un solido veicolo per il ritorno della compagnia al rinnovato Kennedy Center Opera House.
Lo straordinario senso visivo di Pascoe – cieli che cambiano tonalità con sfumature inquietanti, una torre abbagliante piena di gioiello che minaccia anziché abbellire un sontuoso boudoir; l’uso occasionale di film fornisce continui spunti d’interesse, così come la sua regia assicura un ritmo costante al dramma.
Pascoe e Domingo hanno spostato l’Intermezzo dalla sua collocazione originale prima del terzo atto all’inizio del quarto atto. I puristi potrebbero lamentarsi, ma io non ci trovo proprio niente da ridire. Sembra accrescere la desolazione del finale. In definitiva il concetto di Pascoe anima – addirittura arricchisce – Manon Lescaut. È una produzione sensuale e molto appassionata, totalmente all’altezza della partitura sensuale e molto appassionata di Puccini.
La Washington National Opera ha fatto il suo ritorno tanto atteso al Kennedy Center Opera House sabato sera con una nuova sontuosa produzione di John Pascoe della Manon Lescaut. Risplendente con ricchi costumi e set decadenti scenografie ideate dal regista John Pascoe, questa realizzazione del capolavoro di Puccini è la creazione visivamente più mozzafiato che la compagnia abbia messo in scena in memoria recente. L’Intermezzo è stato spostato da Pascoe dalla sua collocazione originale al centro dell’opera e messa più efficacemente tra il terzo e il quarto atto.
La bella nuova produzione di John Pascoe, che ha anche creato le scenografie e i costumi, era al suo più sorprendente nel ricreare l’atmosfera di lusso alla quale l’irresistibile Manon è irresistibilmente attratta. Gli armadi Boulle nel secondo atto (da una dei quali Manon emerge come Olympia per cantare un arietta) erano un tocco geniale.
Visivamente, il set e i costumi rococò di John Pascoe riescono a sopperire alle lacune della trama e della partitura. Il maestro di ballo nel secondo atto quasi vale il prezzo del biglietto da solo!
La bella e fantasiosa nuova produzione di John Pascoe riesce davvero a essere ‘buffa’, facendo risplendere l’opera di Donizetti come nuova. Il regista, scenografo e costumista Pascoe ha trasferito la storia nella New York degli 1920, che ha richiesto solo un minimo di modifiche e ha funzionato sorprendentemente bene. Pascoe offre costumi accattivanti e un uso genialmente efficace di riconversione scenica: la stanza di Norina è ora una squallida lavanderia, e Ernest canta il suo lamento d’addio da un molo di Brooklyn sotto le arcate del ponte. Gli stessi archi compaiono più tardi, usati per la terrazza art deco dell’attico di Don Pasquale che si affaccia sullo scintillante skyline di Manhattan.
Interrompere l’azione dopo il lamento di Ernesto e unire il secondo e terzo atto è stata una mossa audace ma di successo da parte di Pascoe, offrendo Maggiore slancio e accrescendo inesorabilmente l’energia comica fino al finale.
L’estro creativo di John Pascoe era una forza trainante nella produzione, la progettazione e la direzione, con la sua atmosfera e il fascino fine secolo, era un gioiello di un ambiente. L’ambientazione originale scelta per le comiche di quest’opera buffa era Brooklyn all’inizio del XX secolo. La produzione riccamente dettagliata era musicalmente di prim’ordine, con un ottimo cast, un ritmo incalzante e interessanti elementi visivi. I sorrisi sui volti del pubblico l’hanno detta tutta – una serata deliziosa piena di buon divertimento. L’aspetto più impressionante è stato l’accuratezza minuziosa nei dettagli della produzione. Quanto alle scene, la dimora di Don Pasquale è trasformata da solida opulenza baronale a frou-frou femminile da grande schermo. I costumi interessanti erano delicatamente in chiave minore per il coro e le comparse e decisamente in chiave Maggiore per i protagonisti – assolutamente Maggiore per la mise molto Gloria Swanson/Sunset Boulevard di Norina per l’ultimo atto.
Se il canto e la recitazione non fossero stati così favolosi, il set sarebbe stato la star dello show! Il set finale, il quinto astro in questa festa per gli occhi, ha suscitato un applauso appena si è alzato il sipario nella serata della prima. Il giardino coperto di vite era spettacolare, con una vista trompe l’oeil dello skyline di New York intorno al 1919 nello sfondo. L’aggiunta da parte di Pascoe di un carattere che non canta, la governante signora Hooper, ha funzionato bene. Myrna Paris (in realtà un illustre contralto) ha recitato il ruolo muto molto bene, mostrando un atteggiamento affettuoso e premuroso verso il suo datore di lavoro Don Pasquale. Il suo ruolo muto secondario reso espertamente, ha aggiunto temperamento, umorismo e spessore al racconto.
La Palm Beach Opera ha messo in scena la deliziosa opera buffa Don Pasquale del maestro. La prima del 27 Gennaio era frizzante ed effervescente come un buon champagne. John Pascoe, il regista, costumista e scenografo inglese, ha trasferito l’opera nella New York degli 1920. Il malfermo Don Pasquale vive in una casa sulla Quinta Strada, Norina è una garçonne con una parrucca à la Gloria Swanson; l’intera produzione è molto divertente. Quando Norina assume i nuovi servitori, sembra come se Hollywood stia invadendo la vita di Don Pasquale. La regia di Pascoe è arguta e la commedia davvero scattante – e questo è esattamente ciò che costituisce un’opera buffa. Le scene d’insieme straripano di abili tocchi comici, e con la riduzione a due atti, l’intera serata è un piacere ininterrotto. Nelle parole di Ira Gershwin, ‘Chi potrebbe chiedere di più?’
Le scene scorrono con fluidità cinematografica, le immagini sono belle e forti, con una sintesi perfetta di classicismo e idee originali. Durante l’aria del catalogo vengono proiettati volti di donne torturate all’inferno, mentre alla fine Giovanni viene trascinato via da questi fantasmi simili a vampiri delle sue vittime dannate. I suoi giovani interpreti sono totalmente immersi nei loro personaggi come attori veri; per giunta, raramente ho visto le due scene del Commendatore realizzate con tale destrezza.
Proiezioni d’immagini e di video generano un sacco di atmosfera e alcuni complementi ingegnosi al testo, come quando i nomi delle conquiste femminili di Don Giovanni scorrono sullo schermo che sembra una pergamena. Le vittime, donne spettrali con i loro figli compaiono di persona e su pellicola in cerca di vendetta.
I set innovativi e i sontuosi costumi di John Pascoe collocano Don Giovanni, i suoi amici, i suoi nemici e le sue conquiste in un’ambientazione autenticamente spagnola-moresca. Le colonne elaboratamente falliche che incombono sull’azione sembrano uscite dal film Metropolis, ma questo aggiunge un elemento intrigante a un altrimenti assai scontato dramma in costume.
Pascoe, che è anche il regista, pone l’accento sull’aspetto ‘crimine e punizione’ di Don Giovanni, che è espresso nel sottotitolo originale dell’opera, ‘Il dissoluto punito’. Con la sua rinnovata enfasi sulle fondamenta morali – che il compositore ci abbia effettivamente creduto o no – Pascoe crea un concetto molto più credibile e avvincente di quanto era possibile nella produzione relativistica, quasi Clintoniana della compagnia nel 1998.
La compagnia può essere orgogliosa di questo Don Giovanni. Non è solo buono date le circostanze, ma anche una delle messe in scena più coinvolgenti e argute che la Washington Opera abbia presentato in anni.
Grazie al regista John Pascoe, abbiamo l’occasione d’incontrare molte più donne della vita di Don Giovanni. In un’esibizione muta astutamente coreografata nell’ouverture, gli spettri delle conquiste morte di Don Giovanni, un groviglio di Giselle, Ophelie e Signorine Havisham in decomposizione, strisciano da sotto le assi del pavimento e si mescolano agli ospiti della festa, tra i quali Don Giovanni. È un’idea formidabile, e solo un esempio della visione teatrale percettiva e finemente ideata di Pascoe.
In momenti clou durante tutta l’opera, proiezioni video di queste donne scorrono sullo sfondo: le vediamo farsi il segno della croce mentre Donna Anna e Don Ottavio giurano vendetta contro l’assassino del padre di lei, poi additare con orrore quando i loro nomi vengono letti dal libro di conquiste di Leporello durante l’aria del catalogo. Nessuna sorpresa quindi quando queste donne violate e abbandonate alla fine si alzano dalle loro trombe per aiutare il convitato di pietra a trascinare Don Giovanni verso le fiamme.
Punti focali d’interesse visivo su uno schermo che copre metà del palcoscenico a forma di un pezzo di pergamena arrotolato, su cui appaiono gli elenchi delle conquiste di Don Giovanni, i nomi delle donne che ha sedotto, o le parole chiave della narrazione: ‘Vendetta’ quando lo schermo prende fuoco e poi diventa intriso di sangue versato. Altre volte si riempie di riprese video delle donne morte, o, come all’inizio e alla fine dell’opera, si trasforma in una gigantesca ‘trasmissione televisiva di Rai Opera’ e vediamo la ripresa dal vivo di Plácido Domingo che dirige l’orchestra.
Le indicazioni di disposizione sul palcoscenico che Pascoe dà ai cantanti permette inoltre all’azione di essere chiaramente visibile da tutte le angolazioni in maniera molto democratica. Vediamo comportamenti molto rivelatori, come nel momento delicatamente recitato quando Don Giovanni si rende conto che Donna Anna l’ha riconosciuto come l’intruso mascherato che ha aggredito e ucciso suo padre – e nell’ultimo abbraccio affettuoso di Don Giovanni a Leporello una volta che si è rassegnato al castigo divino.